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28/06/2022
Se vi siete persi la prima parte, potete leggerla qui!
Papillon incominciò a svolazzare avanti e indietro da Camillo a Rossino che, vedendo finalmente spuntare la testa dell’orso poco più in giù, gli corse incontro baldanzoso.
“Beh, come stanno le cose?” Chiese subito Papillon.
“Si sentono dei rumori dentro la baita, quindi il mio amico è lì dentro… non so però se stia bene o male, di certo non può uscire!”
La porta era chiusa ma alquanto scardinata, il tetto un po’ sconquassato e dalla finestra aperta si sentiva che qualcuno all’interno spostava oggetti pesanti, forse nell’intento di farsi largo per uscire.
Rossino balzò sulla finestra e vide il suo amico, piuttosto impacciato, che cercava di riordinare l’ambiente in cui il vento e la pioggia l’avevano fatta da padroni, impedendogli perfino di aprire la porta d’accesso!
“Ciao, mio bel gattone! – Disse quello festosamente, rivedendolo e facendogli spazio per entrare – Come stai? Guarda qui che disastro… non so neppure cosa farti da mangiare! Le poche provviste che ho sono tutte là fuori, nel ripostiglio a nord!”
Il boscaiolo sembrava davvero felice di quella visita e gli accarezzava il pelo con vigore, cosa che il gatto apprezzava moltissimo! Doveva essere terribile sentirsi rinchiuso, pensò Rossino. Ora però bisognava tirarlo fuori da quel bugigattolo! Non sapeva come spiegargli che era venuto lì con Camillo, proprio per aiutarlo a uscire e forse l’umano si sarebbe spaventato vedendo quel bestione…
Oddio, era un boscaiolo e sapeva bene che gli orsi non erano una rarità tra quelle montagne, ma doveva trovare il modo di spiegargli perché era lì! Quando aveva avuto l’occasione di vivere con gli umani, tra loro si comprendevano… ma era passato tanto tempo! Volle provarci, ma questo umano non capiva nulla di quei cenni che lo invitavano ad affacciarsi per vedere l’arrivo del rinforzo, ossia Camillo!
Si ricordò, allora, che quasi tutte le creature che vivono tra le montagne si rivolgono spesso agli Elfi. Lui era stato un gatto di città, poi quasi un randagio, infine, una specie d’istitutore per giovani orsi… sapeva degli Elfi, ma chi poteva dirgli come ci si rivolge a quelle misteriose creature? Boh! Provare, comunque, non costava nulla. Tacque per alcuni istanti, poi saltò sulla finestra e girò il musetto in tutte le direzioni. Non c’era l’ombra di nulla che potesse far pensare a un Elfo… finché non vide passare una specie di lucciola.
Lucciole? Si chiese. Lucciole, con quel freddo e in pieno giorno? Mai, mai nella sua vita, aveva visto quei coleotteri luminosi gironzolare nel freddo e rendersi visibili nel sole!
Intanto quella scintilla brillante continuava a passare davanti si suoi occhi che la seguivano attentamente, in ogni sua mossa. Non sapeva come comportarsi né che cosa fare: quella era di certo una cosa molto strana o, almeno, non molto frequente! Finalmente, come in un lampo, capì che quello poteva essere un effetto di luce creato da un Elfo! E, quindi, se lui riusciva a vedere una lucciola in una mattinata di sole, doveva trattarsi di qualcosa assolutamente fuori da ogni norma, come un messaggio proveniente da una di quelle creature misteriose!
“Ehi… chi sei?” Miagolò rivolto a quella lucina che appariva e scompariva con ritmo intermittente.
“Finalmente hai capito! – Rossino si accorse di recepire quel messaggio e ne fu stupito perché non aveva sentito alcuna voce – Sono l’Elfo, cui stavi pensando poco fa!”
“E come hai fatto a percepire il mio pensiero?” Chiese Rossino seguendo a fatica i movimenti di quella specie di lucciola giornaliera che non stava ferma un secondo.
“Ma… perché io sono un Elfo, perbacco! – Spiegò quello – Per noi non c’è differenza tra parola, idea e pensiero, perché comprendiamo le cose prima che voi riusciate a dirle! Diversamente, ci toccherebbe studiare tutte le lingue e i dialetti del mondo, degli umani anche degli animali e delle piante! Sei un bel gattone, sei buono… e hai anche un’aria intelligente, avresti dovuto capirlo!”
“Forse… – rispose Rossino – ma ti ringrazio davvero! Se ho ben compreso, tu ora intenderai ciò che voglio dirti perché, in realtà, leggi il pensiero che sta dietro le parole che pronuncerò con i miei miagolii… non è così?”
“Naturalmente!” Rispose l’Elfo. E Rossino osservò:
“Ma è assolutamente meraviglioso! Un tempo, quando stavo con gli umani, notai che, per pregare i loro santi, ne pronunciavano i nomi e continuavano a frignare, a chiedere… e poi, invece, quando erano arrabbiati, cambiavano bandiera e invece di ringraziarli e rispettarli, davano loro dei terribili epiteti!”
“Gli umani sono molto superficiali: bestemmiano e si dimenticano delle mille cose che risolviamo per loro! Noi, che siamo creature celesti, non abbiamo bisogno neppure che ci invochiate, perché siamo spiriti che vivono in una dimensione molto più ampia della vostra! Non occorre che ci esponiate le vostre necessità, le conosciamo da sempre!” Rispose l’Elfo.
“Tu, quindi, hai già capito il mio problema – confermò Rossino – e Camillo è disposto a spingere via quell’albero che pesa sul tetto del mio amico perché, avendo inteso quello che mi preoccupava, hai permesso che noi tutti potessimo parlarci e comprenderci, no?”
La scintilla fece due o tre salterelli su e giù, per confermare che le cose stavano proprio così e Rossino continuò:
“Quella lucetta, invece… sei tu e, posandoti ora su questa cosa, ora su quella… ci segnali il da farsi!”
La scintilla annuì, con altri saltelli.
L’orso, frattanto, si era drizzato in tutta la sua autorevole altezza spingendo quel tronco pesantissimo, mentre Rossino spiegava le cose al suo amico umano – che riusciva a capire proprio in virtù della presenza dell’Elfo – finché l’albero fu rimesso a terra. Poi, Camillo e Rossino aiutarono il boscaiolo a rimettere a posto le cose cadute o da gettare via, ripulirono il piccolo piazzale, lo aiutarono a spezzare i rami, sistemandoli nel retro in quel piccolo deposito.
L’uomo non apriva bocca, era stordito, stupito da quanto stava accadendo e sicuro di star sognando: come per magia, un gatto e un orso, guidati da una scintilla luminosa, avevano rimesso tutto in ordine! Era semplicemente pazzesco. Forse stava vaneggiando e si toccò la fronte per sentire se aveva la febbre, ma la pelle era gelida.
Improvvisamente, si rese conto che capiva tutto ciò che si dicevano il gatto, l’orso e la bellissima farfallina che, intanto, si era accucciata su quella scintilla che guizzava qua e là, anche se il focolare era spento. Come un automa cucinò alcuni cibi, ne diede all’orso e al gatto mentre Papillon si serviva da sola, posandosi sui fiori che erano emersi tra le frasche sistemate in bell’ordine… mangiò anche lui senza mai smettere di prodigare carezze a quel simpatico gatto che dirigeva le operazioni come un maestro di musica!
Scese la sera e, prima di rientrare nelle proprie abitazioni, tutti si salutarono con i loro versi: i miao-miao di Rossino, il ruglio di Camillo, lo strofinio delle antenne di Papillon, le parole ruvidamente affettuose del boscaiolo che si accingeva a scendere a valle per ritornare dalla sua famiglia…
Giungendo verso il paese, l’uomo scrollava la testa: se non fossi qui, vivo e lucido, senza febbre… direi che ho sognato, oppure che sono andato fuori di testa! Com’è possibile che sia accaduto tutto questo? Quando lo racconterò alla mia famiglia e ai miei amici…
“Non dirò nulla a nessuno – decise invece, e lo disse ad alta voce mentre camminava rapido sui sentieri in discesa che lo riportavano a casa – perché non potrebbero crederci e, magari per troppo zelo, qualcuno mi porterebbe da qualche specialista per farmi chiudere in un manicomio!”
Loredana Reppucci
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Immagine di Sara Sieff